Spaghetti al pesto di lattume, mandorle e basilico

Angelo Benivegna
7 min readFeb 25, 2018

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Se esistesse fra il salatume, i così detti prodotti di tonnara anche se le tonnare non esistono più, un campionato degli sfigati il lattume di tonno arriverebbe sicuramente secondo: più sfigato della ventre, la trippa, del vuriddruzzu, il budello, dello spineddru, la radice delle pinne, dei virticchi, le valvole mitraliche, tutte parti salate del tonno rosso completamente scomparsi, ma che almeno sopravvivono, col loro nome, nei libri di storia e di etno-antropologia. Come la carrubbeddra, chiamata così per la forma ed il colore che ricordava le carrube, fatta con tutto quello che si accatastava sotto i banconi su cui venivano macellati i grandi tonni rossi: carne, lische, sangue, pelle, tutto raccolto con scope e pale, macinato, impastato con sale e pepe e poi insaccato in budelli di asino…

Il lattume di tonno è più sfigato della ficazza o del murseddru, che troviamo in tutte le salumerie trapanesi, ma a cui chi di dovere ha cambiato il nome, adesso si chiamano, impunemente salamella di tonno e bresaola di tonno: perdoniamoli, perché non hanno pudore, perché non sanno, non capiscono che, magari involontariamente, stanno disprezzando la nostra cultura, la cultura trapanese. Vi assicuro che gli è andata ancora bene, perché poteva finire come “Largo Porta Addri”, un pezzo di Trapani che non esiste più sostituito da un ridicolo Largo Porta Galli, dove gli addri, in italiano cuori di mare sono diventati, nell’italiano parallelo parlato dai nostri amministratori, galli e quindi la ficazza avrebbe potuto diventare vulvacia!

Perché, che ve lo dico a fare, basta odorare un panetto di ficazza per capirne l’origine del nome e riflettendoci un attimo anche la sottile ironia che pervade la nostra cultura.

Agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso tornò a Trapani un vecchio pescatore, dopo quasi 40 anni di Alaska, di pesca ai salmoni, lunghi anni di freddo, sacrifici e rinunce. Tornò a Trapani portandosi dietro un gruzzoletto con cui comprò una casetta, dalle parti di Santo Liberante, una pensione americana che gli permetteva di vivere senza chiedere niente a nessuno, ed il diabete. Bill l’Americano, come tutti lo chiamavano alle Barracche, il quartiere dei pescatori da dove era partito, aveva smesso di pescare per la malattia che prima gli aveva tolto le dita di un piede, poi una gamba, poi un’altra e poi la vista.

A Trapani ritrovò gli amici d’infanzia, quelli ancora vivi, pescatori come lui a cui raccontare le mille avventure vissute Allamerica, gli amici che la domenica mattina lo andavano a prendere e, facendo a turno a spingere la carrozzina, lo portavano sulle banchine, fra i carretti con le reti, le cime dei pescherecci tese dal maestrale, gli spruzzi di acqua di mare.

E Bill l’Americano respirava a pieni polmoni l’aria della sua città, felice.

Poi, tornando verso casa, passavano davanti al vecchio stabilimento oggi demolito, dove si producevano pesci salati, e l’aria stagnante dei fumi saturi di odori riempiva l’aria.

Allora Bill l’Americano a occhi chiusi, il naso all’aria, sospirava commosso: ah, li fimmini!

Mi rendo conto, scrivendo, che essendo io etno-centrico tanto quanto e più di voi, racconto di cose che ai non trapanesi (nessuno è perfetto), possono sembrare fantascienza piuttosto che racconti esotici, perché la salatura ed il consumo delle interiora e di ogni altra parte del tonno rosso sono una esclusiva trapanese. Solo trapanese.

Il lattume di tonno lo potremmo chiamare l’innominabile, c’è, ma non si nomina: c’è fresco durante la stagione di pesca del tonno rosso e tutti i trapanesi se lo contendono pagandolo anche più del tonno stesso, s’è sotto sale e da qualche anno anche in salamoia satura sottovuoto da consumare, dopo ovvia dissalatura, tutto l’anno, ma chi vorrebbe metterlo in un menù dovrebbe anche spiegare cos’è, e qui crolla l’asino, perché il lattume altro non è che lo sperma del tonno.

Nonostante il 68, la rivoluzione sessuale, lo sdoganamento delle minne in TV, è difficilissimo trovare un cameriere o una cameriera che spieghino ad un turista bergamasco piuttosto che inglese, cos’è il lattume di tonno senza partire, arrossendo e balbettando, dalle api e dal polline, sperando magari in un terremoto che li salvi dal pronunciare quella parola: sperma, state mangiando sperma di tonno.

Anche perché potrebbe capitarvi, come è capitato a me, di avere al ristorante una signora che, dopo un’accurata spiegazione di questo piatto, scuotendo il capo mi rispose <no, no o rischio di fare indigestione>. Sicuramente la signora parlava dell’aglio.

Anche per questo nessuno, tranne il sottoscritto, ha provato a cucinarlo o a metterlo in menù. Le poche trattorie ancora esistenti a Trapani che propongono il lattume, se fresco lo nascondono infarinato e fritto in un fritto di paranza, se salato in un antipasto di tonnara.

A questo pesto ci lavoro da più di venti anni ed è stato il piatto della casa del mio ultimo ristorante, il Salirosso di Trapani.

Fu scelto, per acclamazione, dai circa quattrocento partecipanti alla inaugurazione del ristorante: per l’occasione avevo preparato alcuni pesti, tutti diversi, anche se tutti avevano come ingredienti prodotti di tonnara, ma che in qualche modo tutti richiamassero alla memoria la gastronomia trapanese. Non ci fu gara, il Pesto di lattume e mandorle, perché così si chiamava originariamente il piatto, li sbaragliò tutti.

È un pesto cotto di aglio, mandorle, basilico e prezzemolo, a cui ad un certo punto aggiunsi il lattume di tonno precedentemente tostato e cucinato velocemente nel Grillo, così da tenere una leggera nota di affumicato. Ed il latte. E rifinii il piatto con la ficazza grattugiata.

Non ho mai pubblicato questa ricetta con una “mappa” così precisa del protocollo da seguirne per la realizzazione, ed anche così non pensiate che sia facile trovare il giusto equilibrio tra aromi e sapori degli ingredienti: se questa era l’unica ricetta delle centinaia che ho creato con le dosi degli ingredienti pesati al grammo ed i tempi al secondo ci sarà pure un motivo, o no? Domandatelo alle ragazze che hanno lavorato con me al Salirosso, tra l’altro le uniche che,oltre me, conoscono e conservano i segreti di questo piatto.

Tostate il lattume

Innanzi tutto bisogna dissalare il lattume, ed io uso questo sistema: prima lo tosto sulla piastra di ghisa, quasi a bruciarlo, poi lo sbollento due volte, cinque minuti a volta in due pentole con acqua bollente.

tostate il lattume quasi a bruciarlo

Poi quando si è intiepidito lo trito a coltello e lo tengo da parte.

Sbollentate il lattume

Poi pesto l’aglio, Rosso di Nubbia, che ve lo dico a fare, due spicchi ogni 80 grammi di pasta, e tengo da parte anche questo.

Il lattume dissalato

Quindi trito le mandorle al mixer, dieci mandorle ogni spicchio d’aglio, assieme ad un bel mazzetto di basilico e mezzo mazzetto di prezzemolo, e quando ho ottenuto una profumatissima crema verde comincio a filare olio extravergine d’oliva, come dovessi fare una maionese.

Vado ad occhio, ma regolatevi con almeno due cucchiai d’olio ogni 80 grammi di pasta, e poi aggiungo il latte, un bicchiere ogni spicchio d’aglio.

tritate il lattume

A questo punto metto sul fuoco un wok antiaderente con due cucchiai d’olio extravergine d’oliva, ed appena l’olio è caldo verso metà dell’aglio che ho pestato.

rosolate il lattume con aglio e prezzemolo

Prima che l’aglio bruci aggiungo l’altra metà del prezzemolo tritato ed il lattume. Rosolo brevemente il lattume ed aggiungo due bicchieri di Grillo.

fate evaporare il vino

A fiamma vivace faccio svinare, quindi aggiungo il frullato di mandorle.

aggiungete il frullato di mandorle e latte

A fiamma dolce faccio addensare, ma non troppo perché le mandorle “stringeranno” la salsa quando si raffredderà condendo gli spaghetti.

Lesso la pasta a metà cottura, controllo il sale della salsa e vi verso gli spaghetti. Porto a cottura gli spaghetti spadellando ed aggiungendo latte, o acqua calda a seconda che volete un piatto più o meno cremoso, aggiungo l’altra metà dell’aglio pestato, inpiatto, aggiungo la ficazza grattugiata, e…

finite di cuocere gli spaghetti nella salsa

Buon appetito trapanesi, e non

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